Mi hanno scritto tante persone che soffrono materialmente o spiritualmente. A tal proposito vorrei farvi leggere uno scritto che ho rielaborato e tradotto in italiano moderno, tratto da “Pratica di amar Gesù Cristo”, di Sant'Alfonso Maria de Liguori, Dottore della Chiesa.
Questa terra è luogo di meriti, e perciò è luogo di patimenti. La nostra vera patria è il paradiso, ove Dio ci ha preparato il riposo in un gaudio eterno. In questo mondo dobbiamo starvi breve tempo, ma in questo poco tempo molti sono i travagli che dobbiamo soffrire. Bisogna patire, e tutti patiscono: sia i buoni, sia i cattivi, tutti devono portar la propria croce. Chi la porta con pazienza si salva, chi la porta con impazienza si perde. Dice Sant'Agostino che con la prova del patire si distingue la paglia dal grano nella chiesa di Dio: chi nelle tribolazioni si umilia e si rassegna al divino volere è grano per il paradiso; chi si insuperbisce e si adira, e perciò lascia Dio, è paglia per l'inferno. Gesù col suo esempio ci ha insegnato a portare con pazienza le croci che Dio ci manda. Il Profeta chiamò il nostro Redentore: Despectum, novissimum virorum, virum dolorum (Is. LIII, 3): l'uomo disprezzato e trattato come l'ultimo di tutti gli uomini, l'uomo dei dolori. Sì, perché la vita di Gesù Cristo fu tutta piena di travagli e di dolori. Così come Iddio ha trattato il suo Figlio diletto, così tratta anche ognuno che ama e riceve per suo figlio: Quem enim diligit Dominus castigat; flagellat autem omnem filium quem recipit (Hebr. XII, 6). Un giorno Gesù disse a Santa Teresa: “Sappi che le anime più care al Padre mio sono quelle che sono afflitte da patimenti più grandi.” La stessa santa dopo la morte apparve ad un'anima, e le rivelò che godeva un gran premio in cielo, non tanto per le sue opere buone, quanto per le pene sofferte volentieri per amor di Dio.
Non vi è cosa che più piaccia a Dio, quanto il vedere un'anima che con pazienza e pace sopporta tutte le croci che Lui le manda. Ciò fa l'amore, rende l'amante simile all'amato. Diceva San Francesco di Sales: “Tutte le piaghe del Redentore son tante bocche le quali ci insegnano come bisogna patire per Lui. Questa è la scienza dei santi, soffrire costantemente per Gesù; e così diverremo presto santi.” Chi ama Gesù Cristo desidera vedersi trattato come fu Gesù Cristo, povero, straziato e disprezzato. Il merito di un'anima che ama il Signore sta nell'amare e patire. Ecco quel che disse il Signore a Santa Teresa: “Pensi tu, figlia mia, che il merito consiste nel gioire? no, consiste nel patire ed amare. Mira la vita mia tutta piena di pene. Figlia, sappi che chi è più amato da mio Padre, riceve maggiori travagli da Lui, ed a ciò corrisponde l'amore. Mira queste piaghe, perché non giungeranno mai a tanto i tuoi dolori. Il pensare che mio Padre ammette alla sua amicizia gente senza travaglio, è sproposito.” Ed aggiunge Santa Teresa per nostra consolazione: “Iddio non manda mai un travaglio che non lo paghi subito con qualche favore.”
Sarebbe un gran guadagno il patire tutte le pene che hanno sofferto i santi martiri, in tutta la nostra vita, per godere un sol momento di paradiso; or quanto più dobbiamo abbracciar le nostre croci, sapendo che il patire della nostra breve vita ci farà acquistare una beatitudine eterna? Momentaneum et leve tribulationis nostrae... aeternum gloriae pondus operatur in nobis (II Cor. IV, 17). Ciò induceva San Francesco a dire: “Tanto è grande il ben che aspetto, che ogni pena mi è diletto.” Ma chi vuol la corona del paradiso bisogna che combatta e soffra. Non si può aver premio senza merito, né merito senza pazienza. E chi combatte con maggior pazienza, avrà un premio maggiore.
Ma parlando anche di questa vita, è certo che chi patisce con più pazienza gode più pace. Persuadiamoci che in questa valle di lacrime non può aversi vera pace di cuore, se non da chi tollera ed abbraccia con amore i patimenti per far piacere a Dio. Non il patire, ma il voler patire per amor di Gesù Cristo è il segno più certo per vedere se un'anima ama il Signore. Ecco quello che Gesù consiglia a chi vuole essere suo seguace, il prendere e portar la sua croce: Tollat crucem suam... et sequatur me (Luc. IX, 23). Ma bisogna prenderla e portarla non con ripugnanza, ma con umiltà, pazienza ed amore. Un giorno Santa Gertrude domandò al Signore che cosa poteva offrirgli per fargli maggior piacere, ed Egli le rispose: “Figlia, tu non puoi farmi cosa più grata che soffrir con pazienza tutte le tribolazioni che ti si presentano.”
Un'anima che desidera di essere tutta di Dio deve abbracciare con avidità tutte le mortificazioni volontarie, e con maggior avidità ed amore le involontarie, perché queste sono più care a Dio. Preghiamo il Signore che ci faccia degni del suo santo amore; che se perfettamente l'ameremo, ci sembreranno fumo e fango tutti i beni di questa terra, e ci diverranno delizie le ignominie e i patimenti.